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Lambruschi & Acetaie: Podere il Saliceto e Acetaia Leonardi

È una giornata fredda e uggiosa a Campogalliano. Il pullman ci lascia all’ingresso di una strada sterrata alla fine della quale, su un piccolo rilievo, si trova il PODERE IL SALICETO. Un uomo ci viene incontro percorrendo lo stradone, salutandoci calorosamente: è Gian Paolo Isabella, colui che dal 2004, assieme a Marcello Righi, sperimenta nuove ed audaci espressioni dei vitigni autoctoni. “Quello che vedete alla vostra destra è un frutteto: vi sono pregiate pere Abate, tipiche della zona, e mele. Alla vostra sinistra, invece, una distesa di laghi: è la Riserva Orientata del Fiume Secchia, realizzata per contenere le piene del fiume. Ci vado molto spesso” dice, “se vi piace correre, come a me, è l’ideale”.

Incontriamo il primo vigneto, costituito da malbo gentile, vitigno autoctono a bacca nera bisognoso di un occhio di riguardo in più: “Il malbo è una vite che tende scendere, deve essere aiutata a crescere verso l’alto. Inoltre ha gli stami riflessi e ciò significa che non è in grado di autofecondarsi, come avviene solitamente per via anemofila. Così qui abbiamo piantato anche il lambrusco salamino, vitigno impollinante, affinché l’allegagione del malbo possa avere successo”.

Gian Paolo ci conduce all’esterno della cantina, dove ci mostra la diraspapigiatrice, i serbatoi e vari attrezzi del mestiere. “Qui in cortile avviene la vendemmia. Scusate il disordine, è che abbiamo imbottigliato da poco”. Gian Paolo è così, una persona semplice ma allo stesso tempo saggia, una saggezza maturata da autodidatta, unita a tanta passione e tenacia: “Non proveniamo dall’ambiente agricolo, sapevamo ben poco a riguardo. Sono un ottico optometrista ma poi ho capito che a me mica piaceva quella roba lì” dice, ridendo, nel suo accento emiliano. “Marcello ha studiato, è diventato agronomo e si è unito a me in questa avventura”. Possiede quella dialettica che non pecca di presunzione, un modo di raccontare del proprio operato che suscita vivo interesse in chi ascolta. Entrando in cantina si scusa ancora, questa volta per lo spazio ristretto, tra botti e strumenti per la vinificazione. “Non ti preoccupare, siamo liguri, siamo maestri nella gestione del poco spazio!” qualcuno dice e il gruppo di sommelier, degustatori e simpatizzanti dell’Associazione si unisce in una risata.

Quello in cui ci troviamo è un vecchio granaio risalente al 1881, scampato al forte terremoto del maggio 2012. Un tempo vi si produceva di tutto: frutta, vino, latte, carne: “È quel genere di rudere che oggi, solitamente, viene adibito a ricovero degli attrezzi. Noi l’abbiamo trasformato in cantina”. Ci mostra alcune botti in cemento, le quali vanno trattate ogni anno con vernice epossidica che isola dall’aggressione di agenti chimici e fisici, come le muffe, e adatta alla conservazione degli alimenti.

Assaggiamo il prodotto dell’ultima vendemmia direttamente dalle botti. Il primo diventerà il “Bi Fri” (70% trebbiano modenese, 30% sauvignon blanc): “È un bianco frizzante, secco, con rifermentazione in bottiglia, proprio come avviene tradizionalmente per il Lambrusco. Sono un amante del Sauvignon: qui la nota di foglia di pomodoro è accennata ma contribuisce a renderlo un vino elegante. È reso sapido grazie al terreno, ha una spiccata acidità ed una bollicina gradevole”. Non è ancora pronto, ovvio, ma le premesse sono ottime. L’altro sarà il “Falistra” (in dialetto “scintilla”), lambrusco di Sorbara DOC in purezza, frizzante e secco: “È la rivisitazione di un vitigno un po’ bistrattato. Lo vinifichiamo in bianco proprio per esaltare la sua qualità non colorante, donandogli un rosa cerasuolo”. Sua nota tipica è la fragolina di bosco, vi si possono riconoscere il ribes e anche l’arancia, mentre alla bocca presenta una spiccata acidità ed una vena sapida, accompagnate da una bollicina persistente. Da queste parti è il vino tipico di Natale, da proporre con zampone o cotechino. “Nel 2015 sono stato negli USA ospite di Joe Bastianich e nessuno in sala credeva che potesse esistere una versione secca del Lambrusco!”.

Ci spostiamo nella porta accanto, dove ad attenderci troviamo focaccia e strolghino. Dopo aver degustato la versione in bottiglia del “Falistra”, Gian Paolo ci illustra una delle creazioni di cui va più fiero, il “Malbolle”: “Abbiamo fatto una scommessa, declinando il malbo in versione spumante Metodo Classico. Nessuno lo aveva mai fatto prima. È un vitigno che genera tanto alcol, ha un estratto secco di 28gr/l, deve andare subito alla pressatura, che sarà delicata, per estrarne la parte più nobile. È un’uva tintoria molto scura, deve essere vendemmiata anticipatamente ed ha una percentuale di acidità alta adatta al Metodo Classico”. Dell’annata 2017 si riconoscono, al naso, una nota vegetale di erba tagliata, poi agrumi e minerali; una piacevole sorpresa confermata anche all’esame gusto-olfattivo, perfetto con lo strolghino.

Gian Paolo e Marcello producono anche un altro Metodo Classico, il “Ring Adora”, 100% Lambrusco di Sorbara che sosta due anni sui lieviti prima della sboccatura. Prende il nome dalla pietra che si trova in Piazza Grande a Modena e, inoltre, ricorda una delle grandi passioni di Gian Paolo, la boxe. Peccato non poterlo assaggiare, perché terminato … un motivo in più per tornare! Questi Metodi Classici vengono sboccati con un sistema à la volée messo a punto da un’azienda vicina, evitando così lo shock termico provocato dalla sboccatura à la glace.

L’“Albone”, invece, è 100% lambrusco Salamino di Santa Croce DOC, rosso rubino frizzante e secco che genera una spuma cremosa, dalle note di piccoli frutti a bacca nera: “Questo è ottimo con la pizza”, dice Gian Paolo. “È un vitigno tintorio che produce tanto ma è difficile da gestire in cantina, perché è soggetto a riduzione e bisogna essere cauti”.

Infine assaggiamo il “Malbo”, 100% malbo gentile, un’annata 2016 che ha prodotto poca uva ma concentrata: è un rosso fermo caratterizzato da un rubino intenso che mantiene per tanti anni; oltre alla frutta rossa matura, al naso presenta una speziatura ed un accenno di tabacco. Detto anche “Amabile di Genova”, si pensava fosse importato dalla Liguria e prima ancora dalla California. Il 2017 è stato l’ultimo anno in cui ha riposato per una parte in legno, da allora in sole botti di cemento.

Una chicca che non abbiamo avuto la possibilità di assaggiare è il “Cichin”, spumante rosato ottenuto da uve lambrusco Benetti, antica varietà locale che Gian Paolo e Marcello hanno deciso di rivalutare.

La produzione del Podere è passata dalle 8.000 bottiglie del 2008 alle 50.000 di quest’anno, di cui il 20% viene esportato in USA, Giappone, Belgio e Francia. I numeri parlano chiaro: sono la prova che accorgimenti come aumentare la densità d’impianto, portando le rese da 3kg ad 1kg per ceppo e puntare sulla diversificazione del prodotto locale, proponendo Metodi Classici inaspettatamente interessanti, recuperando vitigni storici talvolta dimenticati e rivisitandone altri spesso ingiustamente denigrati siano la strada giusta verso un meritato successo.

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