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IL VINO DI MARSALA

Serata memorabile quella del 9 maggio, in cui la figlia di Marco De Bartoli, Giuseppina, più nota come Gipi, ha raccontato il legame con il padre scomparso, attraverso la storia, l’assaggio e la condivisione di una scelta controcorrente: il vino Marsala delle origini.

De Bartoli era stato un grande appassionato di auto e un pilota di buon successo. Quando nel 1979 subisce due infortuni, decide di dedicarsi appieno all’attività vitivinicola nel Baglio Samperi, a Marsala, dove aveva ripristinato una masseria, le cantine storiche e la tenuta ereditati dalla nonna nel ‘78. Laureato in agronomia, prima di allora aveva lavorato come tecnico nell’azienda di famiglia della madre, ma ora, avendo l’opportunità di affermare la propria filosofia produttiva, sceglie di rinunciare al Marsala degli Inglesi per ritornare al “vino di Marsala”, senza aggiunta di alcol.

Fu un gesto decisamente “trasgressivo”, così come l’utilizzo del solo vitigno grillo (anziché l’uvaggio tradizionale) ed un drastico diradamento dei grappoli in vigna per dare struttura e almeno 15° di alcol al vino di annata con cui ringiovanire il vino che riposava in botti scolme. Un salto nel passato: valorizzare un vitigno antico proprio mentre veniva espiantato a vantaggio del trebbiano, del grecanico o dello chardonnay per vini di facile mercato e di un vitigno vigoroso e produttivo come il catarratto per il Marsala. Anche la produzione si rifaceva al metodo prebritannico: vino ossidato col metodo perpetuo, una sorta di rabbocco continuo in cui la botte e il tempo hanno un concorso simbiotico nella determinazione delle caratteristiche organolettiche di questo oro liquido.

E questa “rivoluzione” culturale avveniva in un contesto di grande sofferenza viticola: la Sicilia svilita e banalizzata della produzione di quantità o di vini vigorosi da taglio, del Marsala industrializzato o con l’aggiunta di uovo o aromatizzato. E Marco De Bartoli, solo contro tutti, a combattere la sua battaglia di orgoglio e di identità, eroico vigneron che coltivava e produceva mentre le cantine compravano l’uva dalle cooperative. “Nel 1980 ho accelerato il primo imbottigliamento del vino che in onore della contrada ho chiamato Vecchio Samperi. L’ho presentato come vino di Marsala e non vino Marsala. Un impegno a combattere il declino dell’immagine di questo glorioso prodotto.” dirà ad Attilio Vinci nella biografia scritta per Veronelli. Il Vecchio Samperi infatti non ha diritto alla denominazione Marsala Doc perché non è addizionato di alcol…

” Mi sento, purtroppo, oltre la Doc… Il mio Vecchio Samperi va oltre. Il disciplinare non mi poteva aiutare, però non l’ho scavalcato per capriccio, ma solo per fare più qualità. E tutti sanno che ho anche pagato il mio prezzo, le traversie giudiziarie da cui sono stato assolto...” affermava. “Il professor Attilio Scienza ha ragione. Sono d’accordo con lui che il Marsala è morto… sotto il profilo produttivo. Viene fatto male, il contributo dell’alcol è troppo alto rispetto alla base alcolica ottenuta dall’uva. I tempi di invecchiamento bassi non vanno bene. L’ossatura non c’è… Il mio pensiero è Doc, ma la Doc non mi può impedire di concepire un invecchiamento più lungo di cui il Marsala ha bisogno” (pubblicato su cronachedigusto.it).

Era un uomo fiero Marco. E la sua inflessibilità verso chi aveva fatto cadere questo grande vino italiano nel baratro si scontrò contro gli interessi dei mediocri. Proprio quando era presidente dell’Istituto Regionale Vite e Vino (1993-1997), carica che ricoprì con abnegazione, nel puro intento di rivalutare i vitigni autoctoni e i vini di Sicilia, tra cui il Marsala quale vanto isolano, nel 1995 venne accusato di sofisticazione. La commercializzazione fu bloccata, ma la produzione non ne ebbe danno.  Seppur deluso e amareggiato, constatò come la meraviglia dei suoi nettari apprezzati a livello nazionale e internazionale non venisse offuscata dalle infamie, così come la sua immagine di uomo integro, onesto e determinato a realizzare un sogno. Cinque anni dopo verrà completamente scagionato. Tutto questo non ce lo dice Giuseppina; è storia nota…

La fierezza dei De Bartoli traspare anche quando parla Gipi, che insieme ai fratelli Renato e Sebastiano porta avanti con coerenza la scelta del padre. Lo fa con disinvoltura, senza ostentare l’autorevolezza raggiunta dall’azienda e l’ammirazione che suscita nel mondo del vino. Transita inconsapevolmente emozione ed energia nella platea, che vibra e freme nella totale approvazione. E quando le viene chiesto perché non combattere per inserire nel disciplinare due tipologie di Marsala, una col metodo antico, l’altra con l’alcolizzazione, risponde: “La nostra lotta è nella ricerca e nella pratica della qualità, partendo dalla vigna. Bisogna produrre un vino base con alto grado alcolico e fortificare poco. Ancora ora ci sono alcolizzazioni di sei o sette gradi perché il titolo alcolometrico del vino è basso. E poi ci vuole un lungo invecchiamento: nei nostri Marsala l’acidità accresce col tempo… Danno il meglio di sé dopo dieci anni… Stiamo dentro la Doc, ma li produciamo secondo il nostro credo…”

Quindi, in qualche modo, i De Bartoli “modificano” il disciplinare dal di dentro, ma il fondatore, all’insegna del motto L'originalità consiste nel tornare alle origini” (Gaudì) che ora campeggia nel sito aziendale, si era speso fortemente per convincere i produttori consorziati a credere in loro stessi, con quella voglia irruenta di affermare il metodo e il tempo originari (Marco mai approverà la versione Fine del Marsala). Il Vecchio Samperi è infatti il vino perpetuo delle famiglie contadine di Marsala, nutrimento durante il lavoro dei campi e patrimonio prezioso che passava in dote al novello sposo con l’impegno e la responsabilità di conservarlo e perpetuarlo nel tempo. Lo assaggeremo tra poco…

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